Didattica a distanza, integrata, in presenza solo per laboratori e per sostenere alunni con difficoltà di apprendimento… da un anno ormai la scuola è in emergenza. Molto si è detto e molto si dirà sugli effetti che tale situazione ha provocato negli studenti, soprattutto quelli più fragili, dal punto di vista cognitivo, psicologico, relazionale.
E molte importanti domande sono emerse negli attori della scuola come urgenti: qual è veramente lo scopo della scuola? Come preparare gli studenti a introdursi gradualmente nel mondo attuale, di cui neanche gli adulti sono in grado di prevedere il futuro? Quali skills favorire in un’epoca in cui tante delle funzioni un tempo svolte dalla scuola sono svolte da altre agenzie? Che cosa va educato davvero nell’uomo, sostituito in molte delle sue attività da macchine sempre più efficienti e veloci?
In Arrivano i Cyborg (Hoepli 2015), Alessandro Vato, bioingegnere e ricercatore, offre al lettore un viaggio nei più importanti laboratori di un nuovo filone di ricerca, chiamato Brain Machine Interface, che studia le possibili connessioni tra cervello e computer. Emerge con evidenza cristallina come nelle nuove frontiere della robotica sia necessaria una capacità di interazione fra studiosi di vari ambiti: ingegneri, medici, biologi, fisici. E così si conclude il volume: “Qual è il modo corretto di fare ricerca scientifica? Se incominciassi a scrivere un elenco di priorità metterei senz’altro frasi come: Con molto spirito di osservazione… usando tutti gli strumenti a disposizione e specialmente lo strumento più importante che è la ragione… mantenendo sempre vivo il desiderio di conoscere le cose e le persone per quello che sono veramente e non per l’immagine che si ha in testa, proprio come quando si devono interpretare dei dati scientifici…”.
Se ci si sofferma sulle parole chiave di tale affermazione, emergono alcuni utili suggerimenti per ripensare alla scuola della ripartenza. Una scuola che è tenuta a educare la capacità di “osservazione”, cioè l’attitudine all’ascolto, alla domanda, alla visione, la capacità di orientarsi nei dati; che richieda serietà nello studio dei saperi di base, affinché “la conoscenza degli strumenti a disposizione” e l’uso della ragione si muovano su un solido terreno; improntata alla “pluridisciplinarità” che richiede innanzitutto capacità di interazione, ascolto, dialogo tra chi è esperto nelle diverse discipline; tenace nella “ricerca della verità”, perché senza coscienziosità e onestà intellettuale non è pensabile la conoscenza e l’innovazione. E ancora una scuola che educhi al rischio dell’interpretazione, all’esercizio del giudizio, alla capacità di paragone, di argomentazione, alla coscienza del valore delle cose. Fondamentale, dunque, per la scuola di oggi e di domani il coraggio della scelta, della selezione di contenuti, argomenti, metodi, linguaggi. Non multa sed multum: abbandonando la pretesa enciclopedica, sempre più anacronistica, la scuola ha il compito di condurre gli studenti in profondità, alla ricerca della verità e del significato di alcune grandi cose.
È sempre più evidente, dunque, che la scuola abbia il compito di rimuovere gli ostacoli non solo alla conoscenza dei contenuti, ma anche allo sviluppo di quelle competenze trasversali che nel recente volume Viaggio nelle character skills. Persone, relazioni, valori a cura di G. Chiosso, A.M. Poggi e G. Vittadini (il Mulino 2021), sono prese in considerazione da punti di vista diversi (didattico, lavorativo, psicologico, sociale…).
Si preferisce oggi parlare di character skills, per denominare tali competenze, rispetto a non cognitive skills o soft skills: “forse quella di character skills è la (denominazione) più espressiva perché mostra che non sono meccanismi isolati ma espressioni diverse di quell’immisurabile, unitario e personale tratto latente che li genera, la persona, che nel percorso formativo è capace di un impegno o un’attività in modo accurato e responsabile, e nell’ambito lavorativo sa utilizzare le conoscenze adattandole alle circostanze. È poi fondamentale sottolineare che le character skills non sono innate e immutabili, ma sia la scuola che l’extrascuola, in particolare il lavoro, possono svilupparle tanto più efficacemente quanto più l’intervento è precoce e riesce a coinvolgere famiglie e contesto sociale” (pp. 126-127).
Dai contributi del volume e dall’esperienza di quest’anno di didattica emergenziale, si possono trarre a tale proposito almeno tre considerazioni:
1. La scuola è chiamata a progettare percorsi educativi e interventi miranti a favorire e a rimuovere gli ostacoli della crescita delle character skills, non limitandosi a tramettere informazioni o ad addestrare gli studenti all’esecuzione di procedure. Anche perché cognitive skills e character skills non procedono su binari paralleli (ciò è risultato evidente durante la didattica a distanza: personalità fragili non sono state in grado di adattarsi alle nuove modalità di apprendimento e hanno subìto pesanti ripercussioni cognitive). Le une favoriscono lo sviluppo delle altre, vicendevolmente, ed entrambe sono fondamentali per il formarsi della personalità e del carattere.
2. Una didattica creativa e sfidante, capace cioè di suscitare domande nello studente e avviare la sua personale ricerca del vero e del senso, come testimoniato da molti docenti in questa situazione emergenziale, è sicuramente legata allo sviluppo di cognitive skills e character skills. In particolare delle cosiddette Big five: estroversione, amicalità, coscienziosità, stabilità emotiva e apertura mentale.
3. Le character skills non sono frutto esclusivamente dei percorsi scolastici. Fondamentale la sinergia tra le varie “agenzie” educative: vita di famiglia, attività del tempo libero, esperienze lavorative…
Sono molte, insomma, le domande che la componente adulta della scuola è tenuta a porsi, se vuole essere all’altezza del desiderio di ricostruzione e ripartenza esplicito o implicito negli studenti e nell’intera società che alla scuola affida la sua gioventù. Domande pertinenti innanzitutto a contenuti e metodi disciplinari essenziali in rapporto alla proposta di un significato: occorre un’ipotesi di senso, di qualcosa per cui valga la pena conoscere, studiare, lavorare, per innescare la motivazione e sviluppare le competenze disciplinari e trasversali. E poi domande inerenti a modalità e strumenti didattici che integrino tradizione e innovazione; alla sinergia con altre realtà educative; all’organizzazione degli spazi e dei tempi dedicati all’apprendimento; al valore del lavoro e dell’impegno dei singoli, dei gruppi, delle classi; al significato formativo della valutazione; alla formazione e alla condivisione della crescita professionale tra docenti.
È insomma a tutti evidente che senza la condivisione tra tutti gli stakeholders della scuola di una profonda riflessione sull’esistente e sulle prospettive future e, al contempo, senza una reale autonomia degli istituti non è possibile continuare a fare scuola in una realtà così complessa e sfidante.
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