Non so se l’avete sentita, ma la campanella è suonata. Con la fine del 2020, la ricreazione è davvero finita. E questo spiegherebbe anche le fibrillazioni nel Governo. Oltre al tono decisamente severo e preoccupato del presidente della Repubblica nel suo discorso di fine anno. Game over, il tempo dei giochini è terminato. E con esso, quello della finanza creativa sui conti pubblici con l’incorporazione e la prezzatura ex ante dei soldi europei.
Certo, ora ricominceranno con la tarantella in base alla quale è tutto un piano di Bruxelles per favorire lo shopping a prezzo di saldo dei gioielli di famiglia italiani da parte dei razziatori tedeschi e francesi. Quindi, preparatevi alla solita, ritrita cantilena da perenni Indiana Jones dell’alibi. La realtà è un’altra, signori. E mettetevi pure seduti, se pensate di non essere in grado di reggerla: lo scorso giugno, strappato lo storico risultato del Recovey fund, l’Italia ha come al solito pensato di averla fatta franca e di essere la più furba di tutti.
A dispetto delle altre volte, però, i nostri partner hanno capito l’antifona. E ci hanno lasciato fare, complice anche l’emergenza Covid. Ci hanno lasciato fantasticare con i numeri, ci hanno lasciato godere del nostro spread sotto controllo grazie agli acquisti della Bce, ci hanno lasciato pavoneggiare nel ritrovato orgoglio patrio di chi può permettersi di dire sdegnosamente no al Mes. Insomma, ci hanno lasciato sfogare. Ora, però, la festa è finita. E non tanto perché sia iniziato il nuovo anno, semplicemente perché è scaduta quella che paradossalmente – in base a certi infantili schemi germanofobi – era in realtà la nostra assicurazione sulla vita: la presidenza Merkel dell’Ue. Ora la Cancelliera tornerà a occuparsi unicamente del suo Paese e lo farà con maggiore rigore e vigore del solito, essendo entrata nella fase finale della sua esperienza politica. Il suo discorso di fine anno, commosso fino quasi alle lacrime, è stato una sorta di testamento anticipato: Angela Merkel ha confermato ufficialmente che non si ricandiderà, il post-Mutty è ufficialmente iniziato in Germania. E guarda un po’ le combinazioni: questa immagine proviene dal profilo Twitter ufficiale della Bundesbank ed è stata pubblicata il 31 dicembre, lo stesso giorno del discorso della Cancelliera.
È un estratto dell’intervista del governatore, Jens Weidmann, con il quotidiano Rheinische Post. Di fatto, l’argomento principale del colloquio con il giornale di Düsseldorf doveva essere il ruolo delle Banche centrali nella lotta ai cambiamenti climatici. Di fatto, fuffa. E infatti, il numero uno della Buba ha voluto parlare anche di altro. Di cose serie. E, stranamente, a Francoforte hanno sentito il bisogno di rilanciare la frase chiave di quel altro attraverso il proprio profilo social: non date per scontato che questo regime di deroga perenne nell’operato della Bce prosegua in automatico, perché se l’outlook dei prezzi dovesse cambiare, occorre alzare i tassi. Il fantasma di Weimar a Capodanno, roba da romanzo di Charles Dickens in trasferta sul Reno.
Direte voi, la solita minaccia di Jens Weidmann, ripetuta a intervalli fissi negli ultimi sei mesi. Ovvero, da quando la Corte di Karlsruhe ha investito proprio la Bundesbank del potere/onere di staccare la spina al Pepp, se questo violasse i principi di proporzionalità. E chi pensate che abbia evitato questo epilogo, più volte accarezzato dal numero uno della Buba, a fronte dei continui sforamenti dal limite per emittente e dalla capital key? Angela Merkel. E chi ha imposto al Governo e al Parlamento tedesco il raddoppio delle emissioni di debito per il 2021, spalancando di fatto la possibilità per la Bce di allungare le tempistiche di durata a saldi invariati per il Pepp, garantendo abbastanza Bund per proseguire proprio con quel regime di deroga che ha schermato il nostro spread e quello portoghese, spagnolo e greco finora? Angela Merkel. La quale, però, da ieri è tornata a essere soltanto la Cancelliera tedesca. Non più la presidente di turno dell’Ue, ruolo che ha sostenuto in maniera a dir poco egregia nel corso della sfida più probante per l’eurozona dalla crisi del 2010-2011.
Ed ecco che la Bundesbank rimette immediatamente la testa fuori dal bunker in cui si era rinchiusa, al fine di non farsi vedere in pubblico mentre ingoiava giocoforza e controvoglia le scelte filo-Club Med della Mutty. Ora la ricreazione è finita, signori. E, ovviamente, millanteranno quanto sta accadendo come volontà dei cattivi Paesi del Nord, dei rigoristi, dei frugali, di scipparci chissà quale perla industriale o creditizia. Ci sarà shopping estero nei mesi a venire? Ovviamente sì. Peccato che, al netto di quanto ottenuto in sede Ue, se questo avverrà, sarà tutta e soltanto colpa nostra.
Ora vi faccio la domanda del secolo, alla quale ammetto che sia terribilmente sgradevole rispondere, in punta di realismo: pensate che il nuovo regime sugli scoperti bancari sia un vezzo pericoloso e un po’ estremo della Bce o il prezzo da pagare per i mesi di deroga negli acquisti di cui abbiamo beneficiato? Al netto dei quali, le nostre banche si sono però caricate ulteriormente di Btp, oggi al controvalore record di oltre 520 miliardi di euro. Quando vi dico che l’Europa ci ha lasciato fare e che ora ci tocca accettare il costo del nostro sentirci sempre più furbi degli altri, a cosa pensate che mi riferisca? E attenzione, perché il nodo del mio essere certo di uno shopping estero in arrivo sta proprio, paradossalmente, nell’abuso di potere che la Bce ha compiuto finora e che chi oggi in Italia già strilla per l’arrivo degli Unni, ha festeggiato come la realizzazione del vero compito di una Banca centrale. Guardate questo grafico dal quale si evince come l’Eurotower, infatti, non solo abbia cominciato i suoi acquisti di bond corporate prima della Fed, aumentandone poi il ritmo come risposta all’esplosione della pandemia in tutta l’eurozona, ma già oggi detiene il livello record dell’8,5% dell’intero mercato investment grade europeo. Se infatti il portafoglio corporate all’inizio del 2020 era pari a 185 miliardi di euro, a oggi la somma di acquisti dei due veicoli ad hoc – Cspp e Pepp – ha portato il totale a 272 miliardi di controvalore, rispettivamente 251 miliardi facenti capo al primo e 21 al secondo.
Siamo a una ratio di 24x rispetto agli acquisti compiuti dalla Fed in campo aziendale. Tradotto in termini pratici, mentre la Federal Reserve ha ottenuto la fiducia del mercato impegnando pochissime risorse reali, la Bce non solo ha fallito nella medesima opera di moral suasion, ma, stante i controvalori miliardari attuali, ha appunto generato e ampliato a dismisura una platea di aziende totalmente dipendenti dal suo intervento strutturale per continuare a finanziarsi sull’open market. Tradotto, ha garantito il moltiplicarsi di un esercito di zombie firms. Guarda caso, l’accusa mossa da Mario Draghi nel suo working paper per il Gruppo dei 30. Guarda caso, la stessa logica assistenziale che permea la Legge di bilancio italiana appena varata e già necessitante di un nuovo intervento-tampone.
Stando ai calcoli di Goldman Sachs, oggi la Bce detiene circa il 23% di tutte le securities dell’universo con eligibilità potenziale e appunto l’8,5% di quelle investment grade denominate in euro. Praticamente, prestatore di prima e ultima istanza. La gioia assoluta, quasi il Nirvana di sovranisti e monetaristi anti-germanici. Esattamente come per gli spread sovrani, quantomeno per i Paesi un tempo sdegnosamente etichettati con l’acronimo di Pigs. Non a caso, Goldman Sachs definisce l’operatività della Bce un forte vento a favore della domanda obbligazionaria corporate europea, di fatto sottolineandone l’effetto collaterale, una volta che la crisi Covid sarà terminata e la poltiica monetaria e dei tassi andrà giocoforza indirizzata verso un principio di normalizzazione. Guarda caso, il memento appena mosso da Jens Weidmann nella sua intervista di Capodanno, quella con cui ha voluto fare gli auguri all’Italia.
Negli ultimi mesi, infatti, il flusso di acquisti mensili corporate riconducibili alla Bce ha avuto un controvalore medio di 6 miliardi, quasi interamente in seno al Cspp, sufficiente appunto ad assorbire di default una larga parte delle emissioni nette. Certo, al momento il mercato appare ancora assolutamente a proprio agio con questa dinamica, non fosse altro per la conferma appena giunta rispetto al prolungamento degli acquisti obbligazionari dell’Eurotower almeno fino al marzo 2022. Ma se le cose cambiassero, già nella tarda primavera? Guardate il tasso di vaccinati tedesco e quello italiano, ad esempio: chi arriverà prima a una seppur parziale immunità di gregge che permetterà all’economia di ripartire con tasso di produttività pressoché reintegrato a regime pre-Covid? Senza scordare un altro particolare: il 31 marzo prossimo in Italia scade il divieto di licenziamenti, cosa pensate che accadrà al nostro outlook industriale e macro? E alle sofferenze bancarie? E, soprattutto, quanto scoperto esploderà nei conti correnti, a fronte di un fall-out occupazionale simile, “necessario” però per aziende che non sanno più come far quadrare i bilanci, al netto di ristori ridicoli e tasse mai rinviate o sospese realmente?
Pensavate davvero che quella deroga monstre in sede di acquisti Bce che finora ha permesso a questo Governo di inetti di proseguire la sua opera distruttiva oltre il tempo massimo del buonsenso, vantandosi anche dello spread basso, fosse un pranzo gratis? Eccovi serviti. Buon anno. E se dovete prendervela con qualcuno per eventuali acquisizioni ostili estere – ormai alle porte -, evitate di guardare a Berlino o Parigi. Piuttosto, chiedete conto a madame Lagarde per la sua moltiplicazione quasi biblica di zombie firms. O puntate su palazzo Chigi. E non sbaglierete bersaglio.