Res ipsa loquitur. I fatti parlano da soli. E questo articolo mette in fila dei fatti. Delle cifre. Non delle opinioni. Dopodiché, come nel gioco della Settimana enigmistica, ognuno decide in quale verso cominciare a unire i puntini. Quale schema seguire. E, in caso la realtà risulti troppo sgradevole da guardare in faccia, anche quale figura vedere disvelata alla fine del gioco. Sarebbe facile fare del sarcasmo sulla tempistica dell’annuncio di Moderna riguardo l’efficacia del suo vaccino: lunedì, mercati europei aperti e nella fase finale del pre-market di Wall Street. Perfetto. Ammetto che sul mio profilo Linkedin mi sono divertito con questa strana coincidenza pompa-indici. E sarebbe facile ironizzare anche sul tasso di positività riscontrato nei test, di un 4% superiore a quello del siero di Pfizer. Oppure ancora constatare come, casualmente, il vaccino di Moderna possa essere conservato a -20 gradi, quindi – a differenza del concorrente – potete metterlo tranquillamente nel freezer di casa, adagiato come presenza tranquillizzante fra il minestrone e i cornetti Algida. Ma queste sono questioni persino accessorie, ancorché decisamente sgradevoli, se contestualizzate in uno sfondo che vede gente intubata e città ridotte a ghost town, il cui silenzio irreale è un’altra volta trafitto con cadenza patibolare solo dal passaggio delle ambulanze.
C’è dell’altro. C’è qualcosa di strutturale dietro all’utilizzo che si sta facendo della paura delle gente. E sapete perché la cosa mi preoccupa, al di là degli aspetti più o meno morali? Perché quando una parte in causa, quando un ingranaggio del meccanismo arriva ad ammettere candidamente che qualcosa apparentemente non torna, significa che il livello di disperazione è tale da aver superato ogni barriera. E necessitare addirittura di un macabro gioco delle parti.
Nelle scorse settimane facevo notare come negli Usa il rischio di una seconda ondata sembrasse remoto, quasi assente rispetto all’Europa. Lo dicevano le cifre. Bene, ora guardate questo grafico contenuto nell’ultimo report di Bank of America: di colpo, da mercoledì della scorsa settimana il numero medio di casi giornalieri negli Stati Uniti è salito a 131.000 contro un picco della scorsa estate di 67.000. Praticamente, raddoppiato. E ancora più inquietante è l’accelerazione nella crescita dei nuovi casi, passati dal 20% della settimana del voto presidenziale all’attuale 40%.
Ma Ethan Harris, l’analista di BofA che ha curato il report, fa notare dell’altro: “I casi stanno aumentando praticamente in tutti gli Stati e la scorsa settimana 36 di loro hanno toccato nuovi record assoluti. Questo trend è decisamente differente da quello della scorsa primavera, quando il Nord-Est fu colpito duramente ma la gran parte del resto del Paese fu soltanto sfiorata dalla pandemia”. E ancora: “Mentre i test effettuati sono più che raddoppiati, passando dai 930.000 della fine di settembre ai 2,1 milioni della fine di ottobre, se i casi di infezione confermati non fossero cresciuti questo avrebbe causato un netto calo nella ratio di positività, visto che i test in più sarebbero stati compiuti su gente che per la gran parte sarebbe risultata sana. Invece, a fronte di un numero di test raddoppiato, la ratio di positività è scesa soltanto dal 4,7% al 3,7%”. Ma ecco che qualcosa sembra complicare ulteriormente il quadro. Questo secondo grafico ci mostra come nel corso del mese di novembre si sia registrato un drastico calo del numero del test, accompagnato da un netto aumento nella ratio dei casi di positività. Come mai?
E poi questo terzo grafico va oltre, mostrando il trend a 3 settimane e 6 settimane fra scoperta della positività e decessi. Utilizzando il tracciatore a 3 settimane, la percentuale di casi che porta alla morte del paziente negli ultimi mesi è stato abbastanza stabile, fra l’1,5% e il 2%. Ma utilizzando quello a 6 settimane, il trend sta crescendo.
All’epoca, i test erano ancora ai livelli massimi (quindi, si suppone con meno ratio di decessi per caso, stante l’alto numero di asintomatici testati) e questo significa che anche assumendo il mantenimento della ratio media minima, ovvero 1,5%, il dato relativo ai nuovi casi della scorsa settimana porterebbe con sé la matematica conseguenza di circa 2.000 morti al giorno da qui a poche settimane. Quasi il picco raggiunto al massimo della crisi nella scorsa primavera.
Capite perché, alla luce di numeri e calcoli a cura di una delle principali banche d’affari del mondo, mi interessa davvero poco dell’eventuale insider trading di qualche dirigente di Pfizer o Moderna? La questione è più seria: come mai tutti quei test in meno, proprio a partire dalla settimana delle presidenziali? E come mai, di colpo, due annunci sul vaccino e con quel timing? Anche in questo caso, dopo il voto e a distanza di una settimana l’uno dall’altro, casualmente poi con particolari clinici (percentuale di successo, temperatura di conservazione) che sembrano fatti apposto per creare una sorta di gara a chi c’è l’ha più lungo.
Una cosa è certa: c’è ancora una certa discrepanza fra narrazione e realtà percepite. New York sta cominciando a prepararsi a un nuovo lockdown, già oggi i bar e ristoranti la sera sono chiusi. Da ieri, anche la California applicando le prime restrizioni. E se il New Jersey sta vivendo una vera e propria esplosione di casi, la Florida comincia a fare i conti con possibili chiusure forzate. L’America ha due facce: quella del virus che di colpo torna a far paura, oltretutto praticamente in tutto il Paese e quella delle soluzioni ormai in arrivo e in competizione fra loro. Ma ci vorrà tempo, comunque, prima che il vaccino sia disponibile in massa.
E chi non ha tempo, invece? Casualmente, è sempre Bank of America a venirci in soccorso. Guardate questo grafico, il quale ci mostra quale sia la sgradevole sorprese che a detta del capo analista della banca, Michael Hartnett, potrebbe disvelarsi agli Stati Uniti da qui a poche settimane, in caso i Democratici riuscissero a guadagnare anche il controllo del Senato dopo il doppio run-off di gennaio in Georgia: la più grande e veloce contrazione fiscale della storia. Oltretutto, dopo il ciclo più rapido di espansione di sempre.
Ora, riprendete in mano il mio articolo di ieri e mettete in prospettiva la situazione. Chi potrà e dovrà farsi carico dell’intero carrozzone del deficit esponenziale statunitense, se per caso davvero si arrivasse a una situazione che vedesse le novità legate al vaccino e il miglioramento dei dati macro capaci di sortire soltanto un effetto di breve termine per i mercati? Paradossalmente, infatti, sul medio termine si tramuterebbero in criticità, poiché un outlook benigno forzerebbe in effetti un ridimensionamento del budget federale. La Fed, ancora una volta la stamperia più famosa del mondo. Come spiegavo nell’articolo, già oggi il Treasury statunitense per il 2021 ha programmato emissioni di debito per finanziare quel deficit che per controvalore trimestrale rappresentano sistematicamente il doppio dell’ammontare di acquisti attuale della Federal Reserve, ovvero 120 miliardi al mese (80 di Treasuries e 40 di Mbs). Per riuscire a operare un off-set di quel diluvio di carta e monetizzarne virtualmente ogni dollaro, Jerome Powell dovrà raddoppiare il volume di fuoco del Qe4 in corso.
Non a caso, da un paio di giorni si rincorrono voci di mercato che vedono la Fed pronta a intervenire sulla maturity del debito che acquista già al board di dicembre. Per JP Morgan, quell’atto sarebbe prodromico ad altro, tanto da definirlo interim step prima della vera espansione, destinata a portare l’ammontare mensile di acquisti di Treasury da 80 a 160 miliardi. Per ottenere la quale, ovviamente, occorre però una vera crisi, un alibi di quelli inattaccabili. Quasi certamente, a ridosso della metà del primo trimestre 2021. Magari, qualcosa che vada storto nella sperimentazione dei vaccini. Un ritardo. Un effetto collaterale. O, molto più facilmente e senza ricorrere a dietrologie, qualcosa di legato a questo ultimo grafico: nonostante un ammorbidimento dei requisiti di ottenimento di un credito bancario siano scesi ai livelli minimi dal crollo Lehman, soltanto la voce relativa ai prestiti alle famiglie ha vissuto un trend di aumento, forse legato all’impasse del Congresso rispetto al rinnovo dei sussidi federali. Ma quando si tratta dei cosiddetti C&I loans, quelli richiesti da aziende grandi e medie e che normalmente si traducono in Capex e generatori di crescita (e occupazione) la dinamica è nettamente in calo. Nonostante gli standard di concessione più favorevoli.
E quando le chiusure di un eventuale, nuovo lockdown in alcuni Stati faranno crollare anche i consumi personali, quale sarà il tasso di sopravvivenza di imprese già oggi così spaventate e indebitate da non volersi mettere in gioco tramite il finanziamento bancario? E dove andrà a finire, più in generale, il Pil statunitense, a oggi ancora dipendente per il 65% proprio dai consumi personali? A quel punto, Jerome Powell dovrà giocoforza entrare di nuovo nella cabina del telefono come Clark Kent e uscire vestito da Superman.
Un tempo, alla fine di un articolo simile, avrei scritto ma magari mi sbaglio. Questa volta, mi tocca scrivere ma magari Bank of America si sbaglia. E questo, a mio avviso, dovrebbe già farvi riflettere. Parecchio. Res ipsa loquitur, appunto.