La Rai – tra tante altre cose – è un barometro infallibile sullo stato di salute del governo. E come sappiamo, dopo la rielezione di Mattarella il governo Draghi naviga a vista e nessuno sa veramente cosa pensa di fare l’uomo che ne è al comando. La squadra che ha assunto la direzione dell’azienda pubblica – da Fuortes alla Maggioni, dalla Soldi alla Agnes – pensava di avere ricevuto, tra i vari compiti, anche quello di aiutare l’ascesa di Draghi al Colle. Ora sa di aver fallito.
Così come molti di coloro che avevano riposto nella conferma del ticket Mattarella-Draghi le speranze di un lungo periodo di stabilità, frenando gli appetiti dei partiti, devono oggi prendere atto che il loro progetto ha avuto l’effetto contrario, aprendo una pericolosa fase di instabilità, anche per i vertici Rai, nominati meno di un anno fa, è iniziato il conto alla rovescia. Difficilmente potranno conservare i loro posto di comando quando fra un anno il nuovo Parlamento darà vita ad un governo diverso e Draghi non avrà più il potere assoluto di scegliere i propri candidati senza ascoltare le indicazioni dei partiti.
Per Fuortes le cose sono andate subito molto male. Le sue uscite sono state considerate estemporanee, il suo modo di dialogare con i vertici operativi della struttura ha creato solo dissenso. Ma soprattutto non è stato in grado di proporre significative novità. Anche il suo principale sponsor, Goffredo Bettini, sembra aver preso le distanze e ci tiene a far sapere in giro che “neanche gli risponde al telefono”.
Al netto dello straordinario successo di Sanremo, che comunque rimane frutto di una felice intuizione dei vertici di qualche anno fa, quando si ebbe il coraggio di sostituire Baglioni con Amadeus, gli ascolti calano inesorabilmente e in modo uniforme su tutti i canali. Salvo qualche timido risultato positivo della piattaforma RaiPlay, la programmazione Rai non è altro che il noioso succedersi di programmi sempre uguali a se stessi, fiction amate quasi esclusivamente dal pubblico over 60 che non va sulle piattaforme streaming, e la situazione potrà solo peggiorare ora che riparte la stagione del grande calcio internazionale.
La tensione cresce anche tra i dipendenti. Lo sciopero dei giornalisti per i tagli massicci all’informazione regionale è solo un pezzo dei tanti argomenti che stanno animando un duro confronto sindacale, che porterà a nuovi conflitti e molto probabilmente nuovi scioperi.
In questo quadro anche le scelte editoriali del Tg della rete ammiraglia hanno cominciato a far storcere il naso a diversi autorevoli esponenti della maggioranza.
L’attacco più forte è arrivato dal Fatto Quotidiano e dall’ala contiana del Movimento 5 Stelle. Del resto sono loro che hanno subito nella lottizzazione le perdite più consistenti, a cominciare proprio dalla direzione del Tg1. La nuova direttrice non disdegna di apparire spesso in prima persona (ha gestito “in video”, rompendo un’antica tradizione, tutti gli speciali per l’elezione del presidente della Repubblica), ha accentuato la linea pro-Draghi del giornale e non ha nascosto la soddisfazione per i referendum sulla giustizia ammessi dalla Consulta diretta da Giuliano Amato, in concomitanza con i 30 anni di Tangentopoli.
A tal proposito non è passata inosservata una lunga intervista a Claudio Martelli, l’ex pupillo di Craxi, in prima serata, che ha dato la sua versione delle inchieste, dei processi, della fine della prima Repubblica provocata dalle inchieste del Pool di Mani Pulite. Una linea anti-giustizialista che strizza l’occhio ad una parte del centrodestra ma che ha lasciato alquanto critici Fratelli d’Italia, poco disposti a seguire gli alleati su questa linea, gran parte del Pd e ovviamente i 5 Stelle.
Ce la faranno i nostri eroi a resistere in questi mesi difficili? La Rai è un’azienda che continua a camminare sul crinale pericolo di una crisi strategica epocale, e nonostante le aspettative i nuovi vertici stanno esaurendo le loro carte, senza neanche provare a cambiare per sopravvivere. Accontentandosi di assecondare – purtroppo non ci sono da decenni vertici aziendali che fanno la differenza – il potente di turno, per poi rivendicare l’aiuto (leggi: sovvenzioni pubbliche) indispensabile per far quadrare i conti.
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