Il telescopio LBT inaugurato nel 2004 presso il Mt. Graham International Observatory, in Arizona, Usa, è opera loro. Non hanno fatto le lenti e gli specchi, ma le 750 tonnellate del telescopio più grande del mondo sono tutte su base meccanica oleodinamica Camozzi, con tecnologia Innse Berardi e Ansaldo Camozzi. Il nuovo aereo 787 della Boeing sarà tutto in fibra di carbonio. Bene, l’80% del velivolo sarà costruito con le macchine utensili di Camozzi. La storia di un’impresa tutta italiana, partita da un’officina di Lumezzane, nel bresciano, e ora leader mondiale nella meccanica. Ne parla, in questa intervista, Lodovico Camozzi, vicepresidente e amministratore delegato di Camozzi Holding Spa. Intervistarlo non è semplice. È una scelta: «preferiamo parlare di noi stessi il meno possibile», dice Camozzi. Lasciando intendere che alla carta stampata, al contrario di certo mondo imprenditoriale, preferisce l’azienda.



Camozzi oggi è un gruppo industriale presente in diversi paesi del mondo. Qual è la sua storia imprenditoriale?

La Camozzi è nata nel 1964 da tre fratelli, Attilio, Luigi e Giovanni Camozzi. In quel periodo erano operai in aziende del lumezzanese. Installarono in casa una prima macchina, comprata con la loro liquidazione. Mentre due cominciarono a lavorare in proprio, l’altro rimase per un certo periodo dipendente di una società lumezzanese, perché in famiglia serviva una paga stabile. Da quel momento hanno cominciato a lavorare per conto terzi e nel 1964 hanno fondato l’azienda. Oggi Camozzi è detenuta dai tre fratelli. Io faccio quindi parte della seconda generazione. Siamo otto cugini, tutti impegnati in azienda.



Un’azienda a conduzione “familiare”, dunque. Questo è stato un ostacolo o un vantaggio?

Potrà sembrare strano, ma il nostro maggiore “asset” è che andiamo tutti d’accordo. Uno dei desideri dei nostri senior era che l’interesse dell’azienda fosse al di sopra di tutti i nostri interessi personali. L’azienda non è solo un luogo di profitto, ma di profitto per investimenti e per un bene sociale. È il principio che ha sempre fatto da guida ai fratelli Camozzi e che noi abbiamo sposato in pieno.

Come è avvenuto il passaggio generazionale?

Avevamo due scelte: chiamare qualcuno dall’esterno oppure far guidare l’azienda da uno di noi. La scelta unanime, tra i senior e gli otto cugini, è caduta su di me. Non c’è stato nessun dividendo, tutto è stato reinvestito nell’azienda. Questa è la nostra filosofia. L’azienda è un bene per tutti coloro che vi lavorano, non solo per noi. Abbiamo sempre cercato di trasmettere questo modo di vedere e lavorare anche a tutti i dipendenti.



Cos’è Camozzi oggi?

Una holding di partecipazioni industriali con quattro settori di specializzazione, automazione, macchine utensili, macchine tessili ed energia, circa 2500 dipendenti e un turnover sopra i 300 milioni di euro. Non siamo nella finanza, diversamente da molti altri grossi gruppi. Tutto quel che riguarda la finanza per il corporate lo utilizziamo, il resto non ci interessa. È iniziato tutto dall’automazione, in cui facciamo principalmente componenti di pneumatica, poi sono venute le macchine utensili: macchine di grandi dimensioni per i settori aeronautico, dell’energia, navale, ferroviario e altre applicazioni. Poi facciamo macchine per il meccanotessile, in grado di gestire l’intera filiera produttiva, dalla balla di cotone al filo. Nel settore energetico partecipiamo ad alcune società che fanno componenti per centrali nucleari.

Lo sviluppo dell’azienda è legato ad una svolta, ad un’intuizione, oppure ad una decisione strategica particolare?

Nel 1974 decidemmo di puntare al mercato tedesco. Da allora non abbiamo smesso di investire all’estero e col tempo l’internazionalizzazione si è rivelata un punto di forza. Oggi abbiamo 20 filiali all’estero, con unità produttive nei continenti principali. Abbiamo puntato molto in questi anni sull’innovazione e lo sviluppo. Innovazione di prodotto, ma anche e soprattutto innovazione di processo.

Quali strategie di sviluppo avete adottato?

La Holding ha fatto non solo da società di partecipazioni industriali, ma soprattutto da service per le varie specializzazioni, ottimizzando la gestione dei processi, dalla ricerca e sviluppo ai centri di ricerca dedicati, alla tesoreria centralizzata, all’information tecnology.

Ricerca e sviluppo è un settore chiave ma è anche la croce di tante imprese italiane. Camozzi come si comporta?

Abbiamo creato un ente, Camozzi Innovation System, dedicato all’innovazione, di prodotto e di processo. Abbiamo puntato molto su un sistema di lean production, un sistema di gestione snello per abbreviare e ottimizzare la catena del valore. Abbiamo messo le nostre strategie in comune con i nostri fornitori, perché per noi il fornitore è un partner e perciò intendiamo condividere con lui sia i progetti sia il servizio che vogliamo dare al nostro cliente. Poi l’innovazione di processo è sempre coadiuvata da una ricerca sul prodotto stesso, e mi riferisco soprattutto ai nuovi materiali.

Perché la condivisione del progetto con i partner è così importante?

Per noi ottimizzare i processi vuol dire razionalizzare tutto il supply chain management, dal momento dell’ordine alla consegna del bene. Condividere insieme i progetti diviene sempre più importante perché la specializzazione è un fattore predominante ed essere specialisti su tutto è impossibile. Con le crisi di mercato che ci sono oggigiorno è fondamentale aprirsi, fare aggregazioni, fusioni, collaborazioni, alleanze, sia con i fornitori, sia con gli stessi competitor.

Anche con i competitor?

In certi casi sì: per esempio su componenti che sarebbe costato troppo fare in casa senza avere la possibilità di essere sul mercato in tempi giusti. In questi casi abbiamo acquisito dai competitor certi prodotti completando rapidamente l’arco della gamma.

Quello delle alleanze strategiche è purtroppo un altro capitolo difficile per le aziende italiane, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni…

Ma proprio perché il mondo delle imprese italiane in gran parte è fatto di piccole aziende, per fare investimenti ci sarà sempre più bisogno di alleanze. Occorre essere un po’ più umili, perché non si può fare tutto. Ci sono aziende eccellenti ad alta specializzazione che possono svolgere un ruolo fondamentale nel campo dell’innovazione e soprattutto sul time to the market. So benissimo che si rimprovera all’Italia di non fare sistema. Fino a ieri, quando c’erano ritorni a due cifre, poteva andare così, ma oggi, con cambiamenti che si succedono mensilmente, tutto è diverso. Fare gruppo sarà una necessità, per contrastare altri players ma soprattutto per dare un servizio al cliente

Siamo in una fase di crisi: cosa vuol dire essere competitivi in un momento come questo?

Siamo in un momento molto complicato e questi ultimi mesi ci fanno capire che il mondo è veramente cambiato. Informazioni, dati e documenti si possono avere in qualsiasi parte del mondo e in qualsiasi momento. Questo non può che portare grandi cambiamenti all’interno di un’azienda: vuol dire fare più formazione, investire di più in human resources. Per noi questo è fondamentale ed è un capitolo al quale non intendiamo rinunciare: il merito del successo di un’azienda è delle persone che vi lavorano dentro. Sono loro il valore aggiunto.

La crisi cosa cambierà?

Non sappiamo quanto durerà la crisi, ma comporterà un cambiamento strutturale, questo è certo. Noi imprenditori dovremo essere senz’altro più lungimiranti, pensando un po’ di più ad alleanze, aggregazioni, fusioni, per essere più patrimonializzati e più flessibili per affrontare i nuovi  investimenti che saranno indispensabili. Oggi ci sono delle plastiche che sono più resistenti del metallo, le lavorazioni della fibra di carbonio, della fibra di vetro, e del titanio si evolvono al pari dei materiali. Anche i consumi energetici sono inferiori, ci sono nuove tecnologie in campo elettrico ed elettronico che occorre adottare per adeguarsi al cambiamento.