Nel leggere l’articolo di Laura Cioni sulla scuola “leghista” di Adro non avevo trovato onestamente niente di sovversivo, anzi lo avevo considerato un articolo “leggero”, mi perdonerà l’Autrice. A quanto pare mi sono clamorosamente sbagliato, visto i rimbrotti che alla Cioni sono arrivati da diversi lettori.
Il punto sollevato è quello, giustissimo, della opportunità che nella scuola statale non vi siano segni partitici, come sostenuto tra gli altri da Sergio Palazzi, che afferma di aver sempre combattuto la presenza di questi simboli, qualunque ne fosse l’origine e il “colore”. Anche se mi sembra eccessiva questa accentuazione del colore, come fa notare Emilio Molinari invitando piuttosto a guardare a cosa succede all’interno della scuola, all’uso che ne fanno docenti e discenti.
Tuttavia, è difficile sottrarsi all’impressione che proprio di una questione di “colore” si tratti. Fabiana Cestari scrive che le scuole intitolate ad Allende, citate da Laura Cioni come indice di precedente “politicizzazione” della scuola, non hanno “le pareti e i mobili di colore rosso e il simbolo del partito socialista cileno evidenziato all’interno degli edifici medesimi.” Sarà anche, ma concordo con l’Autrice: se negli ultimi decenni c’è stato un colore dominante nelle nostre scuole “pubbliche”, questo è stato il rosso, anche in quelle non intitolate ad Allende.
Quindi pare che il problema sia proprio quel colore, il verde, anzi “quel verde lì”, come scrive Palazzi. Cosa ancor più evidente nei commenti, tre sui sette pervenuti, del Professor Franco Labella, “antifascista”, che parla esplicitamente di “operazione ‘culturale’ di indottrinamento”, culturale giustamente tra virgolette, perché sempre di leghisti si tratta. Il professore è seriamente indignato dai tentativi di risposta della Cioni:” Quando una risposta non risponde. Veramente non c’è limite.” E poi: “Siamo veramente ad un punto di non ritorno, temo.”
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Cosa ha scatenato l’indignazione del professore? Una frase della Cioni decisamente politicamente scorretta: "Quanti indottrinamenti ho dovuto subire nelle ore di compresenza da parte di colleghi antifascisti!". Infatti, ecco la immediata replica del Professore: “La Repubblica non è certo nata su un’idea artefatta della Padania e delle divisioni ideologiche a quest’idea collegate.” Credo che il professor Labella ritenga la Repubblica nata dalla Resistenza, che non mi pare proprio un periodo scevro di divisioni ideologiche. A meno di considerarla fatta solo dai comunisti e dalle forze di sinistra, come di solito pensano i cosiddetti “antifascisti”, ma questa è una lettura fortemente ideologica.
Tuttavia Labella insiste e afferma che la professoressa Cioni “ignora, evidentemente, la differenza tra essere antifascisti e perciò Italiani ed essere leghisti.” Senza togliere nulla alla Resistenza, mi azzardo a dire che sono italiani anche quelli che la Resistenza non hanno fatto, la stragrande maggioranza direi per questioni di età, sia chi è contro ogni totalitarismo, non solo quello fascista, e perfino chi allora fu fascista e magari lo rimase, a differenza di tanti che oggi predicano, ma che cambiarono rapidamente casacca saltando sveltamente sul carro del vincitore.
E qui si torna ad una questione di colori, non solo il verde, ma anche l’azzurro che tanto piace a Laura Cioni. Vorrei far notare che verde e azzurro sono stati anch’essi colori della Resistenza che, per fortuna di tutti, anche del professor Labella, non è stata solo rossa.