C’è una parola che ritorna di continuo in Triangle of Sadness, il nuovo film di Ruben Östlund dopo la Palma d’oro vinta con The Square, ed è “generoso”. La generosità non è più un valore o una moneta sociale, ma uno status symbol che rincorre l’alta borghesia contemporanea e illude i poveri. Questa lotta di classe ai tempi dei social network e del neoliberismo è al centro di un film urticante, in concorso a Cannes, fatto per infastidire divertendo o viceversa.
I protagonisti sono una coppia di modelli che si trova a partecipare a una crociera per super ricchi. Una tempesta li renderà naufraghi su un’isola deserta e dovranno così rimodulare le loro necessità e i loro modi di vivere alle necessità della loro nuova condizione.
Come tutti i testi contemporanei, che della contemporaneità fanno una bandiera e un centro di riflessione, quello scritto dallo stesso Östlund è un filtro che vaglia altri testi, li fonde e li mette in discussione per trarre da ognuno di essi il senso del proprio discorso: il regista qui fa scontrare Titanic, i Monty Python e L’isola dei famosi per farne un’opera che, come il precedente film del regista svedese, metta in crisi i propri personaggi e il pubblico attraverso l’umorismo dell’imbarazzo.
Triangle of Sadness (il titolo è spiegato nell’incipit: è la zona delle sopracciglia che i modelli usano per esprimere le “emozioni” durante le sessioni fotografiche) mette chi agisce e chi guarda nella stessa condizione, ovvero di fronte ai paradossi sociali e percettivi che guidano le nostre azioni, di fronti agli intoppi che la costruzione di un’immagine pubblica trova di continuo. Stavolta però, rispetto ad altri suoi film (soprattutto Forza maggiore), crea uno stacco maggiore tra pubblico e personaggi, vuole che per una volta lo spettatore sia “a proprio agio”, guardando un gruppo di miliardari alla prese con la propria degradazione morale e materiale.
Anche se lo spettacolo è divertente e provocatorio – come in The Square c’è una cena al centro del film dai risultati osceni – il suo cuore è serissimo, ovvero raccontare l’inscalfibilità e la plasmabilità del modello capitalista, le nuove frontiere del lavoro che hanno reso esistenziale il precariato professionale e poi sabotarlo con gag acri, con sketch dall’umorismo minimale e fastidioso. Östlund vuole ribaltare gli elementi della società che sta descrivendo, dalla differenza di salario tra uomini e donne (qui è il maschio a essere pesantemente sottopagato rispetto alla donna, a essere guardato come oggetto) allo scontro di classe che porta la cameriera filippina a diventare la capa dei naufraghi, a usare il potere come fanno di solito i padroni.
Il comunismo e la dittatura del proletariato sono ancora un fantasma per chi comanda e Triangle of Sadness mette in ridicolo anche gli spettri e i babau ideologici di un intero mondo, non prende davvero posizione e il suo distacco cinico può creare più di un problema, ma è proprio ciò che vuole, dare fastidio, porre dubbi e questioni e gustarsi il disagio che si prova nel risolverle, guardare in faccia l’oltraggiosa mancanza di senso del gusto e del ridicolo del nostro mondo. Qui il gioco è più facile, e quindi forse un po’ meno risolto, ma è in ogni caso condotto con un senso dell’immagine e della costruzione della scena, dell’obiettivo di ogni sequenza, che continua a stupire e anche, ogni tanto, addirittura a meravigliare.
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