La famiglia di Viviana Parisi non crede all’ipotesi dell’omicidio del figlio da parte della madre e poi del suo successivo suicidio. Questo nonostante siano spuntati recentemente due certificati medici, uno del 17 marzo e uno di fine giugno, sembra dopo un tentativo di suicidio, in cui si dice che la donna soffrisse di paranoia e crisi mistica. Per i familiari della Parisi, la donna sarebbe “salita sul traliccio perché il bimbo si era perso nel bosco ed è caduta”. Insomma, un tentativo di cercarlo finito male, finito poi con l’aggressione da parte di animali selvatici che si trovano in grande numero in quella zona, e che avrebbero divorato il bambino. Secondo il professor Alessandro Meluzzi, psichiatra e criminologo “una cosa è certa: cosa è successo quel 3 agosto ormai non lo sapremo più, perché le prime indagini sono state fatte probabilmente in maniera inadeguata”. Lo spettro delle possibilità, ha aggiunto in questa intervista, rimane e rimarrà molto ampio. Diverso invece il discorso sul quadro clinico della signora.
Perché la donna, nonostante le premesse sanitarie sul suo stato di salute, aveva così “tanta libertà” nel gestire la sua vita e quella del figlio? I servizi sociali non sono intervenuti in maniera adeguata?
Mi avrebbe stupito se fossero state disposte misure volte alla presa in carico a 360 gradi dell’insieme familiare, come sarebbero state la ricollocazione del minore e l’inserimento all’interno di una struttura terapeutica protetta della madre. Purtroppo una situazione del genere non è rara.
Perché? La persona ovviamente può rifiutare l’inserimento in strutture sanitarie, ma il bambino? E il padre? Non sarebbe dovuto intervenire evitando che il figlio andasse via con la moglie?
Bisogna capire quanto è vicina alla verità questa diagnosi, la gravità dei sintomi, servirebbe una valutazione sulla capacità di intendere e di volere. Diciamo che con una valutazione di questo tipo il padre avrebbe potuto chiedere l’interdizione o quanto meno misure di sostegno e di protezione per il minore. È difficile che i servizi di salute mentale prendano da soli l’iniziativa per disporre questo genere di misure.
Analizzando la giornata del 3 agosto con tutto quello che ne sappiamo, che idea si è fatto? C’è o non c’è una mancanza di lucidità mentale da parte della madre?
Grande lucidità mentale in quella situazione mi pare non ce ne fosse in generale. Oramai quella giornata sarà impossibile da ricostruire, questo lo dico con sguardo da criminologo anche perché le prime indagini sono state fatte probabilmente in maniera inadeguata. Cosa è successo in quelle ore credo non lo sapremo mai, così come non sapremo mai se c’è stato un omicidio-suicidio o un intervento di terzi. La scena del crimine è irrimediabilmente corrotta, possiamo tutt’al più fare delle congetture.
Ad esempio? La famiglia rifiuta l’ipotesi dell’omicidio-suicidio.
Infatti. È possibile che la signora si sia incontrata con qualcuno che conosceva, o con qualcuno che non conosceva, che abbiano subito un’aggressione: lo spetto delle possibilità è molto ampio. Però credo che a questo punto non si potrà mai più sapere cos’è successo, a meno che qualcuno racconti qualcosa che ha visto o a cui ha partecipato, cosa che mi sembra molto difficile.
Che ne pensa delle critiche della famiglia ai servizi di sicurezza, quindici giorni senza trovare niente mentre in cinque ore un solo volontario ha ritrovato il corpo del bambino?
Queste cose succedono quasi sempre, da Yara Gambirasio alla signora di Pisa. Oserei dire che queste ricerche così penetranti non hanno quasi mai dato dei risultati. Coloro che cercano e trovano sono guidati da livelli di conoscenza ben maggiori di un segugio che batte le campagne.
(Paolo Vites)