Si è spento oggi Renato Dulbecco. Medico e genetista, vinse il premio Nobel per la medicina nel 1975 grazie agli studi che consentirono di scoprire il meccanismo di azione dei virus tumorali all’interno delle cellule animali. E’ morto a Genova, a causa di un infarto. Tra le personalità più insigne del mondo scientifico, nonché tra le più alte in assoluto del mondo accademico italiano, viene ricordato perché accanto all’estremo rigore del ricercatore, sapeva unire una grande ironia. Quando nel 1999 salì sul palco del Festival di Sanremo, chiamato da Fabio Fazio, conduttore di quell’edizione, si mostrò dotato di enorme simpatia. Nato il 22 febbraio del 1914 a Catanzaro, sua madre era calabrese, il padre un ingegnere originario della Liguria. E in Liguria, a Porto Maurizio, la famiglia decise di trasferirsi in seguito alla conclusione della Prima guerra mondiale.
Nella frazione imperiese visse in un clima sereno che lo favorì nel dedicarsi agli studi; la sua vocazione, tuttavia, fu dettata dalla morte dell’amico Peppino e dalla malattia della sorella. Nel 1930 decise di iscriversi alla facoltà di Medicina dell’Università di Torino dove, già dal secondo anno, si distinse a tal punto da essere ammesso presso l’Istituto di Anatomia di Giuseppe Levi, eminente personalità scientifica dell’epoca. Qui conobbe Salvador Luria e stinse un profondo e proficuo rapporto professionale e di amicizia con Rita Levi-Montalcini. Laureatosi a soli 22 con unta tesi sui danni al fegato dovuti al blocco dell’efflusso di bile, ricevette un premio come miglior laureato dell’anno. Chiamato alle armi come ufficiale medico, riuscì nel 1940 a sposare Giuseppina, figlia di un membro del governo fascista.
Nel 1943, dopo aver partecipato alla Campagna in Russia, rientrato in Italia prese a partecipare al Movimento dei Lavoratori Cristiani, ed entrando a far parte del CLN di Torino. Tuttavia, capì ben presto che la politica non faceva per lui e si rimise a dedicarsi all’attività scientifica. Entrò a far parte del tema di Levi, dove si dedicò inizialmente a comprendere gli effetti che le radiazioni sortivano su delle cellule embrionali di pollo. Capì che la sua conoscenza della materia era carente e si iscrisse a Fisica, a Torino, dove portò a termine gli studi in soli due anni. Nel tentativo di comprendere gli effetti delle radiazioni sulle cellule, diede vita a pioneristici esperimenti con cellule in cultura. La svolta fu quando Salvador Luria, che stava effettuando ricerche analoghe, sperimentando gli effetti delle radiazioni sui virus, gli offrì di lavorare presso il suo laboratorio di Bloomington, nell’Indiana. Nel nuovo ambiente ebbe a che fare cono alcuni tra i più insigni scienziati dell’epoca, tra cui vari premi Nobel.
Il contratto in America era di soli due anni, ma anche in questa occasione si distinse al punto da ottenere una proroga e la cittadinanza americana. I successivi studi gli meritarono l’attenzione del padre della genetica moderna, Max Delbruck, che lo convinse a collaborare con lui in uno dei laboratori più importanti del Pianeta, il California Institute of Technology di Pasadena. Nel ’55, oramai era divenuto famoso, grazie, in particolare, alle sue scoperte sul virus che provoca il Fuoco di Sant’Antonio e su quello della Poliomelite. Fu, infine, nel ’68 che capì che le cellule tumorali si riproducevano all’infinito a causa di Dna virale unitosi chimicamente alla cellule sane.