La nuova tangentopoli napoletana è la dimostrazione più plastica del drammatico stato in cui versano le istituzioni in Campania. Occorre premettere subito una cosa: la rilevanza penale di tutto quanto emerge dalle solite intercettazioni è tutta da dimostrare e forse, tutto sommato, non eclatante. Si parla di “disegni criminali”, ma io resto convinto che altri siano i criminali e altre le associazioni a delinquere sulle quali si dovrebbe incidere davvero. Emerge però lo sconforto per l’assenza della politica, per la mancanza totale di un disegno politico in grado di condurre la città fuori dalla crisi cieca, morale ed economica, che vive. O almeno di tentarci.
Alfredo Romeo è un imprenditore mosso da smodata ambizione, capace, raffinato, affabulatore, che ha iniziato a imperversare già durante la prima Repubblica. Fino a ieri di lui si poteva dire che, caso più unico che raro, aveva inventato un business a Napoli (la gestione privata del patrimonio immobiliare pubblico) e si era, da Napoli, espanso in tutta Italia, Roma e Milano comprese. Uno che avuto da sempre il vizio (e le intercettazioni lo confermano) di guardare i pubblici amministratori dall’alto in basso con il sorrisino ironico dipinto sul volto di chi la sa più lunga di te.
Ma l’operazione durante la prima Repubblica, con certi calibri in giro, gli riusciva più complicata. Oggi, invece, ed è desolante constatarlo, è invece lui a dettare obiettivi e criteri, persino capitolati di appalto.
Si dirà: ma se già una volta è finito nelle maglie di Tangentopoli, perché è ancora lì? Semplice: perché la sua è davvero un’idea imprenditoriale geniale e innovativa: di fronte a una pubblica amministrazione che neanche conosce i cespiti di cui è proprietaria, lui ne cura prima l’inventario, poi va a recuperare le morosità, ristruttura, mette sul mercato, ecc. Cosicché un Comune perennemente sull’orlo del dissesto come quello di Napoli scopre di non potersi privare di questo flusso di denaro fresco che arriva nelle casse. E dopo qualche difficoltà giudiziaria il progetto non solo ha ripreso a camminare ma si è espanso in altre importanti città, mentre a Napoli Romeo aveva coronato proprio pochi giorni fa il sogno di riportare agli antichi fasti il mitico palazzo della Flotta di Achille Lauro, sede una volta anche del prestigioso quotidiano Roma.
Non inquieta comunque tanto il caso giudiziario, qui ci si chiede che fine abbia fatto la politica, a Napoli: c’è l’intima sensazione che un Chiamparino a Torino, piuttosto che un Cacciari a Venezia, o un Alemanno a Roma piuttosto che una Moratti a Milano potranno essere in grado, un giorno, al di là del colore politico, di lasciare una città meglio di come l’hanno trovata. Non penso si potrà dire lo stesso della Iervolino che, sia chiaro, quanto a moralità personale è in grado di dare lezioni a tutti, compresi i nomi sopra citati. Ma, visto lo stato in cui versa la città, resto convinto che non era la persona adatta a guidarla. Paradossalmente sarebbe stato meglio uno che capisce di affari e soprattutto di affari a Napoli, uno dello spessore politico di Cirino Pomicino, per intenderci. Senza questo elemento il, grandissimo, senso della legalità della Iervolino non basta. Anzi. Rischia di essere funzionale a tutto quello che le gira intorno per restare così com’è, proprio grazie alla copertura dell’immagine di pulizia che lei rappresenta.
Il dramma. però, è che Romeo è una dei pochi fenomeni che funzionano a Napoli, nel giro della pubblica amministrazione. Ma evidentemente anche le cose che funzionano, se non la politica langue, affogano nella loro ambizione. I presìdi di legalità diventano solo cose da aggirare o persone da comprare, assumendo parenti o assicurando sponsorizzazioni. Cosicché, se non funzionano i luoghi di controllo politico (pubblici funzionari, dirigenti, revisori dei conti, provveditorato alle opere pubbliche, opposizione democraticamente eletta) quello che potrebbe essere attaccato, o corretto, sul piano dell’opportunità amministrativa e della normale dialettica politica, diventa materia giudiziaria.
L’occasione è ghiotta, l’ambizione di questo imprenditore consente di chiamare in causa politici di alto rango, coinvolti realmente o millantati. L’inchiesta guadagna le prime pagine, ma resto convinto che altre siano le priorità “criminali” a Napoli da disvelare.
Resta allora un’amara constatazione. Spazzata via la Iervolino, i cattolici impegnati nel sociale a Napoli che contributo, che nomi sono in grado di fornire per le istituzioni della loro città? Possono bastare le prediche, pur giuste, sulla legalità, a cambiare le cose senza che qualcuno inizi a sporcarsi le mani? Ma se nessuno si occupa del bene comune, dei progetti politici veri, resta solo l’interesse e l’ambizione dei singoli.
Che cosa chiediamo alla politica, insomma? Assunzioni? Finanziamenti? Allora rassegniamoci a Romeo, lasciamo fare a lui, che nel campo è il più bravo e l’ha dimostrato. Rinunciamo alle prediche moralistiche e lasciamo che le delibere vengano piegate a questi, privatissimi, disegni. Ma poi non ci lamentiamo che le cose, a Napoli, vanno a scatafascio.
(Aldo Notorio)