Pubblichiamo la lettera che Ezio Goggi, medico di Desio, ha scritto a ilsussidiario.net nel ricordo, stimolato dalla recente testimonianza di Sua Santità Benedetto XVI in Israele, del proprio particolare pellegrinaggio nei luoghi della nascita della cristianità
Caro direttore,
Sono un vostro affezionato lettore e il pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terrasanta mi ha fatto rivivere l’emozione di un’esperienza simile, che vorrei raccontarle.
Nonostante mi piaccia moltissimo viaggiare e abbia avuto l’occasione e la fortuna di vedere diverse parti del mondo, non avevo mai desiderato veramente un viaggio in Terrasanta. Probabilmente questa convinzione era dettata da un atteggiamento un po’ snob legato alla mia abitudine di evitare i viaggi in gruppi numerosi e alla considerazione, assolutamente soggettiva, che tutto sommato sarebbe stata una grande delusione trovarsi a passeggiare tra rovine antiche che, in modo vago, avrebbero dovuto ricordare avvenimenti già così vivamente descritti nelle Sacre Scritture.
Ma nello scorso autunno alcuni amici, grandi estimatori del Cammino di Santiago, hanno avuto un’idea piuttosto originale: ripetere in Terrasanta l’esperienza del pellegrinaggio a piedi che, fin dai primi secoli, venne vissuta dai pellegrini cristiani che si recavano a Gerusalemme percorrendo la via di Acri, da questa città fino a Gerusalemme e da qui ad Emmaus. In modo piuttosto fortuito io e mia moglie siamo stati coinvolti nel progetto che, dopo ampie ricerche, si è dimostrato essere piuttosto insolito, tanto che non solo non vi era alcuna organizzazione che prevedesse nei suoi programmi qualcosa del genere, ma la parca documentazione a nostra disposizione riferiva, tra i pellegrini italiani, solo di un paio di gruppi che l’avevano effettuato in anni recenti. Questo tipo di proposta, e non tanto l’idea di recarmi in Terrasanta, è stato in realtà lo stimolo che mi ha convinto definitivamente.
Il nostro principale desiderio è stato quello di essere realmente partecipi di quei luoghi, e stare in Terra santa per due settimane girando a piedi ci avrebbe certo facilitato in questo. Ma la scelta più importante è stata quella di incontrare dei testimoni, persone che per la loro storia e la loro esperienza ci permettessero di immedesimarci col senso del viaggio e con le cose e le persone viste e incontrate. Stare insieme a Sobi, segretario del vescovo maronita di Gerusalemme, a padre Garcia, in Israele per completare studi biblici, a padre Pizzaballa, francescano e Custode di Terrasanta, a Samar, cristiana palestinese, a Guido, ebreo milanese trapiantato da molti anni in un kibbutz, è stato per noi un aiuto a rileggere l’esperienza che stavamo vivendo con occhi più saggi che sapessero andare oltre le apparenze.
La prima tappa ci ha portato, attraverso una trentina di chilometri di strade, asfaltate e rurali, fino a Nazareth. La città si trova sulle pendici di una collina e noi vi siamo giunti al tramonto, salendo i prati del versante opposto: anonimi quartieri residenziali, aree con case in costruzione e, arrivati alla colma della collina, la parte più vecchia che si estendeva sotto di noi illuminata e piuttosto anonima. Ecco, ho pensato, cosa è rimasto di duemila anni fa? Ho provato un senso di delusione.
Don Giorgio, un prete che camminava insieme a noi, invece di andare in albergo ha proposto di scendere alla basilica dell’Annunciazione. Una lunga discesa ci ha condotti di fronte ad una bella chiesa moderna, molto grande ma che, in fondo, avrebbe potuto essere la chiesa di una qualsiasi delle nostre città. Si era fatto tardi e non mancava molto alla chiusura delle chiesa, gli ultimi pellegrini stavano uscendo e anche l’interno era nella penombra. Ero solo quando, percorrendo la navata, mi sono trovato sulla sinistra un grande scavo in mezzo al quale stava un piccolo altare e, dietro una cancellata, una grotta illuminata.
Tutto è accaduto in modo così improvviso da cogliermi assolutamente impreparato, semmai si possa essere preparati ad un tale incontro: tutto era cominciato in quel luogo, quello che ero, quello in cui credevo, tutto era iniziato lì, in quella grotta. Non c’era nulla da pensare, da considerare, non c’erano più i preconcetti, la città anonima, la stanchezza; c’era solo da stare lì davanti, in silenzio, guardando le pietre intorno alle quali si muoveva Maria.
Quell’istante nella chiesa immersa nel silenzio ha segnato per me tutto il resto del viaggio: noi non eravamo lì a ricordare, a guardare dei reperti storici che ci portavano ad epoche lontane; noi eravamo lì ad incontrare la ragione del nostro presente, a toccare quelle pietre che descrivevano i luoghi e i fatti che sentiamo narrare ogni volta che ci rechiamo alla Messa.
Difficile in queste poche righe descrivere i giorni successivi, così pieni ed intensi. Ogni incontro, ogni luogo sono stati una conferma ed un arricchimento di quel primo istante a Nazareth: è probabilmente la cosa che hanno provato in molti tra quelli che si sono recati in Terrasanta, ma quanto a noi era dato in più, erano il tempo e le modalità dell’incontro. Le strade che abbiamo scelto di percorrere tra Nazareth e Tiberiade e da qui a Cafarnao e poi tra Gerusalemme ed Emmaus, passando per En Kerem, la casa di Elisabetta, erano le stesse descritte nei Vangeli e che Cristo e gli apostoli avevano percorso nello stesso modo e con gli stessi tempi che abbiamo vissuto noi. Come ben sa chi ama percorrere a piedi tragitti lontani dai luoghi abitati, il silenzio e la lentezza di avvicinamento alla meta permettono una visione, un approfondimento di pensiero e un sentire che solo il cammino rende possibile.
Ezio Goggi