Caro direttore,
Il 4 novembre 2011 l’alluvione ha colpito la città di Genova. La forza dell’acquazzone è stata tale che un rigagnolo come il torrente Ferregiano si è trasformato in un fiume in piena che ha invaso e stravolto un’intera zona della città.
La croce bianca genovese era stata chiamata in quella via per un altro tipo di intervento: proprio quella mattina una signora aveva accusato un malore in casa e aveva chiamato il pronto soccorso, per cui la mia squadra (tre uomini a bordo di un’ambulanza) la stava raggiungendo di urgenza in via Ferregiano, dove la signora abita.
È stato proprio mentre risalivamo la via che ci siamo accorti che la situazione stava diventando grave: il Ferregiano, che scorre sulla sommità della strada, doveva aver scavalcato gli argini e un fiume d’acqua scorreva lungo la discesa, travolgendo tutto e ingrossandosi. Abbiamo iniziato ad avvertire i passanti urlando loro di mettersi in salvo e aiutandoli ad uscire dalle macchine, quando ad un tratto un vero e proprio tsunami alto due metri ha superato lo sbarramento formato da alcuni veicoli e si è rovesciato sulla via.
La nostra ambulanza è stata travolta in pieno: quando l’acqua fangosa ha superato il parabrezza ci siamo slanciati fuori e nel fiume abbiamo iniziato a soccorrere i passanti, mentre il nostro veicolo veniva spazzato via e schiacciato dalle altre vetture. Abbiamo tirato fuori dalle macchine alla deriva uomini e donne, fino a quando una seconda ondata ha investito la strada.
Io e il mio collega ci siamo arrampicati sull’insegna di un bar dove siamo rimasti appesi per circa mezz’ora. Da lì abbiamo effettuato la prima segnalazione al 118. È stata una mezz’ora terribile: abbiamo avuto paura di morire, ma ci siamo salvati quando gli inquilini del palazzo soprastante ci hanno lanciato un lenzuolo, che abbiamo fissato all’insegna per lasciarci trascinare dalla corrente in un punto più sicuro. Da quel momento non c’è stato il tempo per pensare: siamo tornati subito in strada per recuperare le persone sorprese dall’inondazione, salvandone decine. In un bar abbiamo tratto in salvo sei persone intrappolate fra cui un bambino di 2 anni, strappando via la cler del negozio.
È qui che ho visto la prima cosa eccezionale: una collaborazione e una concertazione fra i vari corpi di soccorso impensata. Dopo una prima disorganizzazione dei soccorsi (dovuta all’entità della calamità) vigili del fuoco, auto mediche, ambulanze hanno raggiunto e presidiato la zona dando prova di grandissima capacità di sacrificio e di coordinazione in una situazione di puro panico, dove la gente non chiede altro, in fondo, che un punto di riferimento a cui affidarsi per la propria salvezza. E insieme a noi, altri cittadini, gente comune, abitanti del quartiere sono diventati questo punto di riferimento.
Insieme abbiamo trovato i corpi sepolti nel fango, insieme li abbiamo dovuti scoprire e riportare alla luce. Sei morti abbiamo trovato quel pomeriggio e quella sera, in via Ferregiano. Direi che, nello sconvolgimento di quelle ore, fin da subito si è vista una strana unità fra la gente implicata nella tragedia.
E fin dalla stessa notte la gente di Genova ha tirato su le maniche e senza perder tempo (a questo ci hanno pensato i giornali con le loro interminabili e improduttive polemiche) ha iniziato a operare per disseppellire le macchine, scavare fra le tonnellate di fango. La gente più disparata, più estranea, più impensata ha imbracciato la vanga ed è venuta con noi nel fango: universitari, impiegati, operai, fannulloni. Una strana unità di gente che non si conosceva, ma che insieme non ha perso tempo. E oggi Genova è una città segnata dal cataclisma, ma che dal 4 novembre non smette di ricostruire: basta andare a vedere in via Ferregiano per vedere il frutto di questa operosità.
Questa unità si è vista anche adesso, nel periodo delle feste, che la gente ha affrontato non nell’abbattimento, ma con la speranza e la voglia di fare nate in questa strana unità. Questo, a mio avviso, ha molto a che fare col Natale e ci dona la speranza per iniziare un nuovo anno.
(Angelo Fadigati)