Tre giorni di vita – La notizia doveva essere la creazione dei primi embrioni “chimera”, ovvero embrioni ibridi creati da ovociti animali svuotati del loro Dna e in cui viene inserita una cellula umana. Il problema è che questi embrioni, creati in Gran Bretagna all’università di Newcastle upon Tyne, dopo il definitivo via libera della Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea) lo scorso 17 gennaio, hanno avuto vita breve, soli tre giorni. Troppo poco per consentire l’estrazione delle staminali dagli embrioni creati. Per ottenere staminali embrionali, infatti, è necessario che le cellule ibride, o chimera, raggiungano almeno il sesto giorno di vita.
«Sperimentazione ancora all’inizio» – Secondo i ricercatori britannici la “morte prematura” dei primi embrioni ibridi non è un fallimento, bensì «i risultati preliminari di una sperimentazione ancora all’inizio», come ha spiegato lo stesso coordinatore della ricerca, Lyle Armstrong. Per tranquillizzare gli scettici e prevenire nuove ondate di polemiche, Armstrong ha ribadito nel suo intervento, sintetizzato anche sul sito dell’ateneo britannico, che la sperimentazione sarà sottoposta al sistema di valutazione internazionale degli studi scientifici: il peer review. Una posizione ribadita anche dal direttore dell’Istituto di genetica umana della Newcastle university, John Burn. «Se il team riuscirà a produrre linee cellulari capaci di sopravvivere in coltura – dice dal portale dell’ateneo britannico – si aprirà la strada della migliore comprensione delle malattie neurodegenerative senza dover impiegare i preziosi ovociti umani. Le cellule ibride non saranno mai usate nell’uomo, ma serviranno solo a tracciare le strade per future nuove terapie a base di staminali».
La vera scoperta di Shinya Yamanaka – Il problema, alla luce dei primi risultati fallimentari, è naturalmente quello di interrogarsi anche sull’eventuale utilità di queste ricerche. Innanzitutto, sostiene la candidata del Pdl Eugenia Roccella, «embrioni di questo tipo sono già stati creati, ad esempio dallo scienziato americano Robert Lanza, ma non sono mai sopravvissuti abbastanza da ottenerne linee cellulari staminali». Quindi la notizia sarebbe già vecchia. Ma oltre a questo, secondo Roccella, il punto fondamentale è che «molti scienziati non si vogliono rassegnare a considerare chiuso il capitolo della clonazione, dopo la grande scoperta di Shinya Yamanaka e delle sue cellule riprogrammate, cerate senza la necessità di distruggere embrioni umani». Una scoperta la cui importanza è stata addirittura riconosciuta pubblicamente da uno dei padri della clonazione, Ian Wilmut, creatore della famosa “pecora Dolly”, il quale, come ricorda Assuntina Morresi su Avvenire, «in un clamoroso annuncio lo scorso novembre ha dichiarato pubblicamente di abbandonare questa line di ricerca, per seguire la strada molto più promettente avviata da Shinya Yamanaka».