I cristiani di Terrasanta che vivono tutte le «difficoltà e problematiche» dei popoli mediorientali, abbiano il «coraggio» di restare. Il «rispetto» e la «dignità» delle donne proclamati, con coraggio dalla Chiesa di Terrasanta, aiutano una società più giusta e contrastano una visione basata solo sul «profitto e lo sfruttamento».
Questi i due messaggi principali che il papa ha voluto lasciare ai cristiani di Terrasanta nella sua prima messa pubblica di questo viaggio mediorientale, nello stadio di Amman – dove celebrò anche papa Wojtyla -, davanti a più di ventimila persone giunte anche dai Paesi vicini. Nell’omelia il papa pronuncia anche una frase che alcuni interpretano diretta contro l’aborto, altri contro i kamikaze: a proposito della idea cristiana di donare la propria vita per gli altri, spiega che «ciò significa anche dare testimonianza all’amore che ci ispira a “sacrificare” la nostra vita nel servizio agli altri e così a contrastare modi di pensare che giustificano lo “stroncare” vite innocenti».
Benedetto XVI celebra con il segretario di Stato Tarcisio Bertone e con i cardinali Walter Kasper, Jean-Louis Tauran, Leonardo Sandri, con il custode di Terrasanta Pierbattista Pizzaballa. Tra i fedeli un gruppo di duecento ricevono la comunione e cinquanta di loro sono iracheni. Come un semplice parroco, distribuisce la comunione a una cinquantina di fedeli e la prima comunione ad alcuni bambini e bambine, associandosi alla festa delle famiglie dei piccoli. Il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, dà il benvenuto e augura pace in arabo al pontefice. Canti e preghiere sono in latino, arabo, aramaico, ma anche srilankese, vista la presenza di un folto gruppo di cattolici del Paese asiatico, impiegati in Giordania soprattutto nei lavori domestici. E nello stadio di Amman si leva anche un canto bizantino, che da secoli esprime la gioia delle chiese d’Oriente per il dono della fede.
La piccola comunità di Terrasanta si strige attorno al suo papa e prega «per i popoli di Medio oriente, Palestina, Iraq e Libano, affinché la giustizia domini tra queste nazioni mediorientali che tanto si sforzano per la sospirata pace». Si prega anche per il re e i suoi collaboratori. Il patriarca latino Fouad Twal, nel saluto al pontefice, ricorda che dall’inizio della guerra in Iraq «oltre un milione di profughi sono giunti in Giordania e quasi 40.000 di loro sono cristiani». La Chiesa giordana, dice, «fa di tutto per assicurare loro assistenza e venire incontro alle loro esigenze pastorali. La loro presenza è straordinariamente problematica, ma è una grandissima opportunità per i nostri popoli di mettere in pratica la solidarietà».
Se i cristiani temevano che l’attenzione del papa in questo viaggio fosse monopolizzata da Giordania e Israele, rapporti con islam e ebraismo, temi politici collegati al processo di pace, da pastore Benedetto XVI li ha tranquillizzati anche oggi con questa liturgia che li conferma al centro della preoccupazione del pontefice e principale motivo del suo dodicesimo viaggio internazionale.