I 33 minatori cileni intrappolati a 700 metri di profondità nel sottosuolo rischiano di non tornare in superficie per molti mesi, probabilmente addirittura fino a Natale. Dovranno vivere a lungo in spazi angusti, al buio e con la paura che qualcosa possa andare storto. Il loro unico contatto con la superficie è un tubo largo 10 centimetri. Come sopravvivranno in quelle condizioni? Quali conseguenze, fisiche ma soprattutto psicologiche, potrebbe avere la loro permanenza sottoterra? Tutto è iniziato 20 giorni fa, quando a causa del crollo di un tunnel i 33 minatori cileni sono rimasti intrappolati senza poter dare o avere notizie dall’esterno, e se la sono cavata raggiungendo uno dei rifugi di emergenza presenti nella miniera dove hanno potuto approvvigionarsi alle riserve di acqua e cibo.



Il rifugio è largo solo 50 metri quadrati, a poca distanza da una cascata molto rumorosa e con una temperatura elevata, ben 32,5 gradi. I 33 minatori sono sopravvissuti dividendo piccole porzioni di pesce in scatola immagazzinato al suo interno. Poi, quando una sonda è riuscita a intercettarli alla profondità di 700 metri sotto il suolo, sfondando l’ultimo strato di terra e roccia che divideva il rifugio dall’ennesimo foro scavato per raggiungerli, sono stati inquadrati dall’obiettivo mentre agitavano le braccia e si abbracciavano per la gioia. Ma la situazione nella miniera di oro e rame a San Esteban continua a essere drammatica, anche se domenica una sonda ha raccolto un biglietto dei minatori in cui si diceva che erano tutti vivi e stavano bene e si trovavano in uno stretto rifugio da 50 metri quadrati. Secondo quanto comunicato agli stessi minatori, resteranno nel rifugio almeno fino al 18 settembre, ma l’ipotesi più probabile è che la loro liberazione, attraverso un foro largo 66 centimetri, avvenga non prima di Natale.
 



 

I 33 lavoratori sono sopravvissuti dividendo piccole porzioni di pesce in scatola immagazzinato nel rifugio. «I medici ora stanno iniziando a rifornirli attraverso il tubo con acqua al glucosio, altri liquidi e sali reidratanti. E nei prossimi giorni faranno avere loro anche alimenti più solidi», ha rivelato martedì mattina la Cnn. Il buco creato dai soccorritori è però molto piccolo e non consentirà ai minatori di uscire in tempi brevi dalla miniera. A questo punto il piccolo foro che mette in comunicazione le squadre di soccorso con i 33 uomini potrà fungere da canale per calare all’interno del rifugio acqua e cibo, oppure – se necessario – anche bombole di ossigeno. In queste ore, poi, i soccorritori stanno lavorando per mettere a punto un sistema audio e video che permetta di comunicare con gli uomini intrappolati in profondità.



E addirittura la Nasa, chiamata in aiuto per fornire assistenza durante l’intervento di recupero, ha accettato di impegnarsi a favore dei minatori. Ciò che attraversa il tubo dovrà essere in grado sostentare i 33 uomini fisicamente e sostenerli mentalmente per diversi mesi – dicono gli esperti – almeno finché sarà scavato un condotto largo abbastanza per farci passare un uomo. Ma oltre ai disagi legati allo spazio ristretto del rifugio e alla preoccupazione per il futuro, è soprattutto il fattore psicologico a poter risultare determinante in una situazione come questa.

 

 

Come spiega al Sussidiario lo psichiatra Alessandro Meluzzi, «essere costretti a rimanere sottoterra per diversi giorni sospende la normale sincronizzazione dei ritmi circadiani, cioè il ciclo di 24 ore che regola sia i meccanismi della mente sia quelli della biologia. Infatti, senza l’alternarsi del giorno e della notte, viene meno la percezione del tempo che è alla base del funzionamento del nostro organismo e della nostra psiche. Con il risultato che tutti i ritmi risultano allungati rispetto a quelli naturali». Fra i pericoli maggiori correlati alla perdita del senso del tempo ci sono allucinazioni e altre degenerazioni psicotiche, capaci di innescare un domino di tensioni e problemi che possono mettere tutti a rischio. E aggiunge Meluzzi: «Anche il fatto di essere rinchiusi all’interno di spazi ristretti, costretti alla convivenza forzata in gruppo e isolati dal mondo esterno ha delle conseguenze psicologiche. Portando inevitabilmente alla creazione di una leadership per il controllo di risorse, cibo e acqua e per la gestione dei conflitti che nascono dalla convivenza forzata in spazi limitati».

Attenuando così il mix di reazioni imprevedibili che si scateneranno con il tempo, con un «alternarsi di solidarietà, per il fatto di trovarsi tutti nelle stesse difficoltà, e di aggressività per garantirsi la sopravvivenza individuale. Una tendenza che farà emergere inevitabili conflitti». Non tutti e 33 i minatori si riveleranno ugualmente forti. «I più resistenti – sottolinea Meluzzi – sono quelli più competenti, sia da un punto di vista tecnico che emotivo. Non a caso la leadership, all’interno della miniera di San Esteban, non è stata assunta dalla persona con il livello gerarchico più alto, ma dal lavoratore più anziano. Cioè da quello con la migliore conoscenza dell’ambiente sotterraneo e dei rapporti instaurati all’interno del gruppo».
 

 

DALL’EUFORIA ALLA DEPRESSIONE – Un’analisi con la quale concordano anche gli esperti intervistati dai principali network internazionali. «Per i 33 minatori sarà dura – ha spiegato alla Cnn Davitt McAteer, ex direttore della Mine Safety and Health Administrations del governo Usa -. Il rifugio ha le dimensioni di un monolocale, ed è buio. Ora che è stato stabilito un contatto entrerà un po’ di luce, ma le condizioni sono molto, molto difficili. Ciascuno dei 33 minatori, per il periodo di tempo che resterà sottoterra, oltre alle normali funzioni corporee dovrà essere in grado di gestire anche con un altro livello di problemi, quelli legati all’impatto psicologico. Il fatto che ce l’abbiano fatta per questi 20 giorni è molto positivo. Ma l’euforia di riuscire a stabilire un contatto con la superficie durerà per un paio di giorni, e poi seguirà un lungo periodo di fatica».

E quando qualcuno si sentirà depresso, sarà fondamentale che gli altri facciano il possibile per confortarlo. Ma presto ai minatori saranno inviati anche degli antidepressivi. «Tutti noi abbiamo bisogno e usiamo una certa quantità di spazio fisico e psicologico – ha invece rivelato all’Abc Simon Rego, direttore clinico della Ferkauf Graduate School of Psychology della Yeshiva University di New York -. E come conseguenza dell’essere intrappolati, entrambe queste variabili sono compromesse, oltre ad altre libertà che noi normalmente ci prendiamo dandole per assodate». Tra le altre, la capacità di decidere quando spostarsi da un luogo all’altro e di decidere chi avere a fianco a sé». «I 33 minatori subiranno contemporaneamente quasi tutte le fonti stress possibili e immaginabili», ha dichiarato Barbara Rothbaum, professoressa di Psichiatria alla Emory University School of Medicine di Atlanta. «Queste fonti di stress includono offese, mancanza di attenzione da parte delle altre persone, disagio fisico, assenza di orari quotidiani e lo stress di trovarsi per mesi in locali ristretti con molte altre persone ugualmente stressate».

 

 

L’AIUTO CHE VIENE DALL’ESTERNO – Come concludono gli psicologi intervistati, proprio per questi motivi è fondamentale l’aiuto che può venire dall’esterno. Come evidenzia lo psichiatra Meluzzi, «occorre sfruttare al massimo l’opportunità legata al fatto che i minatori possono comunicare con chi sta in superficie, grazie al telefono che in questi giorni è stato calato attraverso il tubo. Il fatto di poter telefonare gioca un ruolo essenziale come elemento di rassicurazione e di mantenimento dei rapporti familiari, con un benefico effetto di stabilizzazione emotiva dei 33 minatori».

Va proprio in questa direzione il piano per il supporto psicologico utilizzato normalmente dalla Nasa per gli astronauti. E nei prossimi giorni potrebbero essere calati nelle viscere della Terra, dove sono intrappolati i minatori, anche degli altri cellulari. Come riflette McAteer, «non vedo perché non si potrebbe rifornirli con telefonini o computer. Siamo nell’era della tecnologia. E qualcosa dovrà pur essere fatto per distrarli… Occorre pensare a come fornire loro cose da fare e organizzare attività in modo tale che la loro attenzione sia distratta e non passino tutto il tempo seduti ad aspettare».

(Pietro Vernizzi)