CIUDAD JUAREZ (Messico) — In silenzio davanti alla rete che ha ingabbiato i sogni di migliaia di uomini e donne. Al di là del Rio Bravo la terra promessa, i dollari e una vita da clandestini, ma anche il disprezzo per i latinos, di qua la famiglia e la casa, spesso impastate di povertà e violenza. Francesco a Ciudad Juarez, nella Lampedusa d’America, sul confine tra Messico e Stati Uniti, in preghiera per le tante vittime di un sogno, migranti morti nel tentativo di raggiungere il Texas. Oltre la rete metallica quelli che ce l’hanno fatta, i messicani emigrati che si sono radunati a El Paso, la città americana sulla linea di frontiera. La visione viziata dalla trama di ferro, i contorni sfumati dalla luce accecante, i destini che si immaginano sotto la bandiera a stelle e strisce, issata per l’occasione su una gigantesca gru. L’uomo in bianco arranca su una breve salita, di fronte ha la Croce, simbolo di dolore e resurrezione. Una collinetta artificiale spunta come un’escrescenza sul terreno arido, segnando l’orizzonte piatto.
La croce issata spunta oltre il fiume, e Francesco la segue con lo sguardo. E’ una presenza ingombrante per chi, nella terra delle libertà, vorrebbe alzare muri e barriere. «Mai più morte e sfruttamento!», griderà nell’omelia della messa celebrata nella zona fieristica della città più violenta del mondo. L’altare montato a meno di 90 metri dal confine. Di fronte più di duecentomila persone. Nel deserto da film western si sono raccolte per trovare consolazione. Altre cinquantamila sono nello stadio Sun Bowl di El Paso, unite grazie alla tecnologia nella celebrazione dell’amore misericordioso di Dio. E’ la suggestione finale di un viaggio che ha portato Francesco attraverso il Messico, fino alla terra dei criminali che trafficano in esseri umani. Un affare da 30 milioni di dollari l’anno, in una striscia di sabbia che finisce per inghiottire un numero altissimo di uomini, donne e bambini. Il Papa le ricorda quelle vittime anonime, la merce dei mercanti di morte: sono coloro che non ce la fanno a passare dall’altra parte. “Un passaggio, un cammino carico di terribili ingiustizie: schiavizzati, sequestrati, soggetti ad estorsione, molti nostri fratelli sono oggetto di commercio del transito umano”.
Così Bergoglio sintetizza le corse dei tanti strattonati dai coyotes, i passaggi furtivi guadando il Rio, gli esodi per fame e paura. Ciudad Juarez come Ninive, la città biblica ubriaca di se stessa: il racconto sacro nella liturgia aiuta il Papa a tracciare il volto di una società che ha perso la pietà, diventando prigioniera dell’ingiustizia. Una città che oggi ha il suo Giona a ricordarle che può contare sul mistero della misericordia divina.
Quella misericordia che entra nel male per trasformarlo. Perché, con buona pace di Donald Trump, non sono le politiche migratorie che interessano a Francesco, ma il peso di migliaia di persone sulla bilancia della Storia, la loro grandezza di figli nonostante siano venuti al mondo dalla parte sbagliata della rete. Un sentire che manca al miliardario che vuole depurare l’America da ogni “inquinamento” umano. Un uomo che forse non è più capace di piangere, mentre sono le lacrime che preparano alla conversione del cuore. “Piangere per l’ingiustizia, piangere per il degrado, piangere per l’oppressione” — ha invitato il Papa — “Sono le lacrime che possono aprire la strada alla trasformazione; sono le lacrime che possono ammorbidire il cuore, sono le lacrime che possono purificare lo sguardo e aiutare a vedere la spirale di peccato in cui molte volte si sta immersi.
E Francesco a Ciudad Juarez, prima di lasciare il Messico, implora il dono delle lacrime, per i migranti che da tutta l’America Latina, attraverso il lungo corridoio messicano, cercano di “bucare la rete”, per finire spesso schiavizzati, sequestrati, soggetti ad estorsione. Non cifre ma nomi, storie, famiglie, dice Bergoglio, spinti dalla povertà, dalla violenza, dal narcotraffico e dal crimine organizzato. Molti sono giovanissimi, “carne da macello”, perseguitati e minacciati quando tentano di uscire dalla spirale della violenza e dall’inferno delle droghe. E molte sono donne, inghiottite dal nulla, esistenze mai compiute. Quell’uomo in bianco, grida con tutta la forza residua di giorni spossanti, “mai più”. Ma indica anche una via di uscita al dramma di Ciudad Juarez. Perché c’è sempre tempo per cambiare, c’è sempre una via d’uscita. “C’è sempre tempo per implorare la misericordia del Padre”.