Il cupo caso di cronaca risalente al 1981 e relativo alla morte di Palmina Martinelli starebbe per riaprirsi. Un primo tassello importante, in tal senso, era stato fornito nel 2012 dalla procura di Brindisi, quando aveva disposto nuove indagini. Tre anni più tardi ritenne “ragionevole” sostenere che la ragazza arsa viva dal fuoco fosse stata uccisa e non si fosse suicidata. Il caso riparte ora da Bari, città nella quale il cuore della giovane Palmina smise di battere, presso il Policlinico del capoluogo pugliese. Oltre alla sorella della vittima, Giacomina, in tutti questi anni a non perdere le speranze, come sottolinea Cronaca Qui, sarebbe stato anche Nicola Magrone, il pubblico ministero che si occupò della tribolata vicenda ed oggi sindaco di Modugno, città che ha intitolato la piazza a Palmina la quale in punto di morte avanzò i nomi dei suoi due assassini. “Entrano Giovanni ed Enrico e mi fanno scrivere che mi ero litigata con mia cognata. Poi mi chiudono nel bagno, mi tappano gli occhi, mi mettono lo spirito e mi infiammano”, aveva dichiarato la ragazzina dal letto d’ospedale. “Sono ancora fiducioso che Palmina ottenga giustizia. È una battaglia di civiltà”, si è augurato il magistrato. Il caso sarà oggi affrontato anche nella nuova puntata di Chi l’ha visto?, la trasmissione di Rai 3.



Questa sera si torna a parlare dell’orribile caso di Palmina Martinelli: orribile perché quella ragazzina pugliese di Fasano è stata arsa viva ormai 35 anni fa e fino allo scorso 30 marzo il delitto è rimasto senza colpevoli, con l’accusa infamante del suicidio. A Chi l’ha visto?, nella puntata in onda questa sera, si torna a parlare del caso di Palmina perché proprio quel caso è stato riaperto e il merito, sostanzialmente, è da imputare alla sorella Giacomina Martinelli, che con coraggio e ostinazione ha rincorso la verità su sua sorella per tutti questi anni. Palmina Martinelli, la sua morte risale all’11 novembre del 1981, quando a Fasano venne ritrovata nella sua abitazione in fin di vita e arsa viva: gli investigatori puntarono i sospetti su quattro ragazzi di Locorotondo, due di 22 anni, uno di 18 e un altro di 23. I quattro avrebbero, secondo le parole della giovane ragazza arrivata in fin di vita all’ospedale di Fasano, dato fuoco a Palmina perché non voleva prostituirsi. La ragazza poi morì, nel dicembre dello stesso anno, in ospedale: aveva il 70% del corpo bruciato, fece i nomi immediatamente dei ragazzi ma le prove non ressero e né in primo né in secondo grado furono condannati quei ragazzi, e infine assolti anche dal Cassazione. Dopo 35 anni e un processo chiuso con l’assoluzione dei presunti responsabili, il 30 marzo scorso la Cassazione ha deciso la non archiviazione e ordina un nuovo processo: «non può trattarsi di suicidio», riportano le parole recenti dei giudici. Nicola Magrone – pm che all’epoca dei fatti indagò sulla vicenda – sul Fatto Quotidiano ricorda come all’epoca sostenne l’accusa e oggi è il sindaco di Modugno (Bari), cittadina che sta per intitolare una piazza a Palmina Martinelli, arsa viva ma fino all’ultimo in grado di raccontare i nomi dei suoi carnefici; “sono ancora fiducioso che Palmina ottenga giustizia, è una battaglia di civiltà”. Il merito grandissimo ca a Giacomina che non si è mai arresa e, sebbene le due persone imputate siano state assolte in via definitiva, per 35 anni ha contestato l’ipotesi del suicidio e ha letteralmente girato l’Italia e i tribunali per trovare qualcuno che potesse riaprire questo dannato caso di cronaca nera.

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